A causare la morte del 31enne fu la “sindrome da inanizione” dovuta alla negligenza e all’imperizia dei medici
Dopo l’autopsia il ragazzo pesava 37 chili e il volto era sfigurato da lesioni. Prossima udienza il 10 aprile
<<Così no!>>. Non si può e non si deve morire in questa maniera: pestati sino all’estrema resistenza umana per l’accusa di spaccio e uso di droga. Non sarà la scusa del: “tanto sarebbe morto lo stesso con quello schifo!” ad assolvere una violenza così folle (anche perché era droga leggera, non Coca usata ai piani alti). No, non funziona così in uno Stato democratico ormai addomesticato come un pesante elefante su di un trespolo per pappagalli. Così è morto Stefano Cucchi, 31 anni, nel reparto detentivo dell’ospedale romano Sandro Pertini. Da allora comincia una ricerca della verità condotta dalla sua famiglia per questa morte mascherata da giudice, con il ventre gonfio e le mani ancora sporche d’ illegalità. La verità, come la giustizia, la invocano i familiari, i legali e la politica (una parte non tutta: solo quel frammento a cui può far comodo battersi per essere ricordati come paladini buoni in momenti di <<caccia ai voti>>, sia ben inteso).
La invoca la coscienza di ogni cittadino che spera di vivere ancora in un Paese giusto, non “giustificato”. Una rabbia da urlare a pugni chiusi contro un’indegna Roulette Russa innescata per dimostrare a se stessi il gusto dell’istituzionalmente legale. Una sentenza arrivata prima di un processo: questo è imperdonabile oltre che assurdo. Guardie che pestano i detenuti, aguzzini pagati da uno Stato che per costituzione (art. 13: è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà ) rimane impantanato da una “caccia” al diverso, all’inutile e al “tossico”. Medici che hanno fatto vergognare lo stesso Ippocrate, complici di non sapere, assistiti da un moralismo ormai desueto e ritrito.
La storia:
- Stefano era stato fermato pochi giorni prima, in un parco perché in possesso di venti grammi di fumo. Un’ odissea breve ma mortale, quella del geometra Stefano: dal tribunale, al carcere di Regina Coeli, all’ospedale Fatebenefratelli. Sette interminabili giorni durante i quali la famiglia aveva tentato invano di vederlo e di parlare con i medici che lo avevano in cura.
La morte:
- Il decesso è avvenuto il 22 ottobre del 2009. Nelle foto scattate dopo l’autopsia si vede un ragazzo che pesa 37 kg, con il volto devastato, l’occhio destro rientrato nell’orbita, l’arcata sopraccigliare sinistra gonfia e la mascella destra con un solco verticale, segno di una frattura. A uccidere Stefano Cucchi fu la “sindrome di inanizione” (un progressivo indebolimento dell’organismo dovuta alla mancanza di cibo e di liquido).
Il testimone:
Il supertestimone gambiano Samura Yaya, compagno di celle di Stefano Cucchi, <<é testimone oculare, è credibile. Vide l’esito dell’aggressione subita da Stefano nelle celle. Sentì quando cadde a terra e i calci subiti e vide che aveva una ferita sulla gamba>>. Lo ha sostenuto il pm Vincenzo Barba nella requisitoria al processo per la morte del geometra romano. Per l’accusa <<l’aggressione si consumò prima che Stefano fosse portato in aula per l’udienza di convalida del suo arresto>>. “Ci sono numerosissimi testimoni che dicono che Cucchi chiamava con insistenza le ‘guardie’. Forse era in crisi d’astinenza perché chiedeva con insistenza le medicine. Non si sa perché, nonostante queste insistenze arroganti, le medicine non gli furono somministrate nemmeno dai volontari di Villa Maraini presenti”, ha detto il pm. C’é poi il racconto dei compagni di cella. “Sappiamo che una detenuta è l’unica che ha dialogato con Cucchi per qualche minuto – ha detto Barba – A lei disse che stava male, che voleva le medicine; lo sentì chiamare a gran voce le guardie. Poi c’é il super testimone e c’é lo stesso Cucchi che ha dato una serie innumerevole di motivazioni sulle lesioni”.
La perizia:
- Nelle 190 pagine si legge che Cucchi avrebbe avuto bisogno “di un trasferimento urgente in terapia intensiva” e che i sanitari della Medicina protetta del Pertini ebbero una condotta colposa, a titolo sia di imperizia, sia di negligenza, quando non di mancata osservanza di disposizioni comportamentali codificate. In sostanza <<i medici non si sarebbero mai resi conto di essere (fin dall’inizio) di fronte a un caso di malnutrizione importante [...] e, non trattando il paziente in maniera adeguata, ne hanno determinato il decesso>>. Ma le lesioni rinvenute sul corpo di Stefano Cucchi non si possono tralasciare ma, secondo i periti <<il quadro traumatico osservato si accorda sia con un’aggressione, sia con una caduta accidentale, né vi sono elementi che facciano propendere per l’una piuttosto che per l’altra dinamica lesiva>>. Insomma, non si può escludere né l’ipotesi del pestaggio nella cella ad opera degli agenti del carcere di Regina Coeli, né quella della caduta accidentale.
La condanna:
– Le pene date agli imputati dai pm Barba e Loy sono le seguenti: pene comprese tra i due anni e i sei anni e otto mesi di reclusione. Queste le richieste dei pm al termine della requisitoria nel processo per la morte di Stefano Cucchi. In particolare i pm hanno chiesto la condanna più alta, sei anni e otto mesi di reclusione, per Aldo Fierro, il primario del reparto dell’ ospedale Sandro Pertini. A seguire i pm hanno chiesto sei anni per i medici Stefani Corbi e Flaminia Bruno, cinque anni e mezzo per i medici Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo e due anni per il medico Rosita Caponetti. Quattro anni di reclusione sono stati chiesti per i tre infermieri: Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe. Due anni di reclusione è la richiesta per per gli agenti di polizia penitenziaria Nicola Minichini, Antonio Domenici e Corrado Santantonio.
La sentenza intanto è attesa entro il 22 maggio. Per quella data infatti il presidente della III Corte d’Assise di Roma ha stabilito l’ultima udienza. Fitto i calendario: la prossima udienza è in programma il 10 aprile, quando è previsto l’intervento della parte civile. Il 17 aprile i primi interventi dei difensori.